domenica 11 settembre 2022

Esperienza, competenza, umanità


 
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Antonio Liguori Scienza e fede. La prima è quella medica, la seconda quella cristiana. Molto competente nell’una quanto fermo nell’altra. Molto innamorato della sua professione come della sua numerosa famiglia. Questo è stato Gualtiero Marello, medico condotto in un’epoca in cui questa particolare figura professionale aveva un che di avventuroso e di romantico. Disponibile ad ogni chiamata 24 ore su 24 e sette giorni su sette, Natale, Pasqua e Capodanno compresi; poche ore di ambulatorio e il resto in giro per la città e le campagne per le visite domiciliari. Lui, con la sua Topolino e poi con la Balilla, macinava chilometri e chilometri su strade polverose per portare aiuto ai suoi pazienti anche nei più sperduti cascinali da dove, in segno di riconoscenza, gli capitava talvolta di portare a casa una mezza dozzina di uova, una bottiglia di vino, un po’ di frutta, insomma quei doni poveri e semplici che nessuno oggi si sognerebbe di fare al proprio dottore. Altri tempi! E altri mezzi. Cioè pochi rispetto a quelli di cui un medico di base oggi dispone: sofisticati esami di laboratorio e diagnostici, facile accesso a visite specialistiche che scaricano da molte responsabilità a iniziare da quella di disporre un ricovero in ospedale. Oltre alla comune pratica clinica, era necessario avere anche una certa pratica specialistica per far fronte a situazioni di emergenza: saper riconoscere e ridurre una frattura, assistere una partoriente quando non bastava la levatrice, suturare una ferita, incidere un ascesso, aspirare un versamento sieroso, estrarre un dente cariato cagione di dolore con febbre, rimuovere un tappo di cerume... Tutte pratiche che oggi sono di competenza ospedaliera. E poi era il medico condotto che curava i bambini e seguiva le gravidanze, laddove oggi ogni infante ha il suo pediatra e ogni donna dal primo mese si affida al ginecologo. Per tutti aveva tempo il Dottor Marello, tempo per confortare, per interrogare e tempo per ascoltare, perché è anche in questo modo che si fa la diagnosi oltre che con l’osservazione, la palpazione, l’auscultazione. E anche nel discorrere col paziente lo soccorreva una certa pratica psicologica, frutto, io credo, più di esperienza, naturale disponibilità al dialogo e partecipazione alle altrui sofferenze che di studi specifici. Aperto e particolarmente sensibile ai temi sociali, si occupò anche di igiene e di medicina sociale, specie in relazione alla attività quale medico presso gli orfanotrofi, presso le fabbriche cittadine come medico aziendale e presso la Casa di Riposo della Città di Asti detta allora “Il Maina” dal nome dei generosi benefattori che contribuirono ad ampliarla. E non si fece mancare neppure l’esperienza del medico di guerra, quando, inviato in Grecia nel 1943 col grado di tenente, vi arrivò giusto in tempo per conoscere la prigionia dopo l’8 settembre. In seguito al rifiuto, coraggioso e coerente coi suoi valori morali, di giurare fedeltà al Führer prima e poi al Mussolini della RSI, propostagli quest’ultima in cambio di un rientro in Italia, fu internato a curare prigionieri di guerra presso un ospedale di Atene che sarebbe più giusto definire col nome di lazzaretto. Anche in quell’ambiente caratterizzato da estrema precarietà e inimmaginabile squallore seppe portare la sua medicina e la sua umanità in soccorso dei poveri sofferenti trattati dai tedeschi peggio che bestie. Una vita troppo breve, sessantacinque anni appena, ma vissuta intensamente e sempre al servizio dell’umana sofferenza. Una vita ben spesa.

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