domenica 31 maggio 2015

Mio padre librettista?


Piero Montanaro

Che bella storia! 
Premio teatrale ad un testo di operetta in piemontese scritto una settantina di anni fa. 
Il dottor Alberto Marello mi ha scritto questa bellissima lettera-storia. Vale la pena di leggerla fino in fondo. Da parte mia, sono felice e orgoglioso che – nel mio piccolo – il blog sia servito anche a questo. 
Ad maiora !!!!

Caro Piero, il 27/10/2007 scrivevi sul tuo Blog: Ancor pòchi dì për pijé part al «Premio për un testo teatrale nelle lingue dël Piemonte»: edission 2007, bandì da la Region Piemont ant le atività dla Lege 26/37 «Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico dël Piemonte». 
Solo per segnalarti che a giugno 2007 la mia famiglia ritornò in possesso dopo tanti anni di un’operetta dialettale scritta da mio padre negli anni trenta e mai pubblicata e rappresentata. Il testo è stato presentato in concorso al “Premio per un testo teatrale nelle lingue del Piemonte” e la Regione Piemonte – Assessorato alla Cultura - su consiglio di autorevole giuria ha segnalato l’opera autorizzandone la pubblicazione a cura del “Centro Studi Piemontesi”. 
Mio padre, medico astigiano, librettista? A quanto pare, dai documenti, scrisse due operette: una recuperata e premiata “Presepieide”; la seconda è ancora incompleta del terzo atto, ma anche se a distanza di tanti anni non dispero e continuo a cercare, “Il Negus a Montemarzo”. 
E la musica? Pare che entrambe le operette fossero state musicate dal parroco di Montemarzo di allora (parlo di settant’anni fa), ma non v’è più traccia. 
Ho avuto grande pazienza nel cercare e nel trascrivere un manoscritto in calligrafia da medico e mi sento orgoglioso di aver creduto nella genialità e creatività di mio padre presentando il testo in concorso. 
Un’operetta è troncata se non v’è connubio tra racconto e musica: il racconto c’è, la musica manca; credo nelle capacità di mio figlio al quale ho chiesto questo onere, è autodidatta ma veramente bravo, ha tutto il tempo e ce la farà. Tutto in famiglia a distanza di tre generazioni. 
Alberto Marello 

Fra Mongardino e Montemarzo




La  «Presepieide» è un’operetta in versi scritta in piemontese nel 1934. Narra una gustosa vicenda di paese, probabilmente ispirata a racconti uditi dal medico condotto Gualtiero Marello a Montemarzo. E’ la storia della famiglia Presepio (in dialetto un modo per definire un sempliciotto). Lo zio vorrebbe far accasare il nipote. Entrambi sono di Mongardino e vengono a sapere che a Montemarzo ci sono ragazze da marito molto carine. Così vanno a Montemarzo e finiscono nell’«Osteria del Pasarot», senza sapere che è la sede dell’associazione degli scapoli. Prima di rendersi conto di essere finiti nel posto meno indicato, vengono fatti bersaglio di innumerevoli scherzi, che gli scapoli mettono a segno equivocando sulle intenzioni dei due mongardinesi.


sabato 30 maggio 2015

Il manoscritto ritrovato (in cassaforte)

La Stampa
Carlo Francesco Conti 

Un riconoscimento postumo a un'operetta che e' rispuntata settant'anni dopo essere stata scritta. Lo ha destinato l'assessorato alla Cultura della Regione a «Presepieide», testo teatrale firmato da Gualtiero Marello, per anni medico condotto di Montemarzo, morto nel 1971. Un'operetta inedita e mai andata in scena, finita in mezzo ad altre carte e dimenticata fino a ieri. Fino a quando il testo e' stato ritrovato dal figlio Alberto, farmacista ad Alfiano Natta, dopo una serie di ricerche degne di un giallo letterario. Cinque anni fa, Alberto Marello curò la pubblicazione del diario di prigionia del padre, nel volume intitolato «Prigioniero 589». Anche quello era un testo «nascosto». L'autore non ne aveva mai parlato ai figli, ma alla morte della moglie, i figli trovarono molti oggetti custoditi gelosamente, tra cui il diario di prigionia e le lettere scambiate con il fidanzato, che poi sarebbe diventato marito. Leggendo queste lettere, Alberto Marello ha scoperto dell'esistenza della «Presepieide». «Nostro padre non ce ne ha mai parlato - spiega - come non ci aveva mai parlato del diario di prigionia in Germania. Alla mamma però aveva spiegato di aver scritto questa operetta fra il 1935 e il 1937, che sarebbe stata musicata dal parroco di Montemarzo». Aggiunge Marello: «Tra le carte di mamma però il testo non si trovava. Ho cominciato a cercarla un po' dappertutto. Ho sparso la voce e cercato di capire dove potesse essere finita. Alla fine ho scoperto dove si trovava. Era nella cassaforte che conserva anche gli scritti di Gino Turello». Anche Turello era di Montemarzo, della «Ghirlandina», e aveva la passione della scrittura. Aveva pubblicato «Radiografia di un maledetto» e racconti inediti furono poi pubblicati postumi nei volumi «Fucilate sante» e «La colpa fu del biancospino». Turello morì in un incidente stradale agli inizi degli Anni '70. «Mio padre - ipotizza Alberto Marello - probabilmente aveva chiesto a Turello di leggere il testo, magari per chiedergli un parere letterario. Oppure era stato Turello a chiederglielo, incuriosito dalle vicende descritte nell'operetta». E aggiunge: «Poi, probabilmente, mio padre si e' dimenticato di farsi restituire il manoscritto. Oppure, chissà, forse ne aveva perso le tracce e nessuno dei due ricordava più dove fosse finito. Con le cartelline di manoscritti e' facilissimo». Complice dell'amnesia, peraltro, fu anche la seconda guerra mondiale. Il giovane laureato Gualtiero Marello, qualche anno dopo aver scritto la «Presepieide» fu richiamato e partì come tenente medico con la Divisione «Casale» alla volta della Grecia. Dopo l'8 settembre fu catturato dai tedeschi e internato in un campo di prigionia. «Nelle lettere a mia madre - ricorda ancora Marello - si fa cenno a una possibile messinscena, però ostacolata. Forse dal podestà dell'epoca, che pure sembra fosse una persona di cultura. Ma e' anche probabile che gli amici di mio padre gli consigliarono di lasciar perdere per evitare ripercussioni. Erano momenti in cui una parola di troppo poteva costare cara». Ora il testo di Gualtiero Marello, recuperato e inviato dal figlio Alberto al concorso regionale «Premio per un testo teatrale nelle lingue del Piemonte», sarà pubblicato nella collana del Centro Studi Piemontesi «Ca' de studi Piemonteis». Lo ha decretato la giuria formata da Mario Brusa, Nicola Gallino, Piergiorgio Gili, Marco Gosso, Albina Malerba, Graziano Melano, Massimo Scaglione, Giovanni Tesio e Silvio Viberti. «E' una vera soddisfazione - commenta Alberto Marello - aver ottenuto un riconoscimento del genere, anche se mi sarebbe piaciuto poterla rappresentare. Purtroppo le musiche non siamo ancora riuscite a trovarle. Sarebbe bello se qualche artista astigiano avesse voglia di musicare l'operetta di mio padre, e una compagnia volesse provare a portarla sul palcoscenico». Un appello a cui ha già risposto Aldo «Cerot» Marello, cugino di Alberto, che all'attività' di campione di tamburello affianca quella di cantautore. Chissà, il debutto potrebbe non essere così lontano. 

giovedì 28 maggio 2015

L'operetta senza partitura



6


Il manoscritto dell'operetta "Presepieide", cercato per anni sapendo dell'esistenza, é stato ritrovato da Alberto Marello nel 2007 grazie alla signora Mariangela Cavallo che a sua insaputa l'aveva custodito per decenni. Sempre nel 2007 é segnalato al concorso "Premio per un testo teatrale nelle lingue del Piemonte" e pubblicato dal Centro Studi Piemontesi. L'opera non é datata, ma presumibilmente é stata scritta tra il 1935 e il 1937, come risulta dalla corrispondenza tra Gualtiero Marello e la fidanzata Angela.

L'incomodo presente

Ti giungano

lettere d'amore e di guerra
 
Prezzo di vendita 14,00
Prezzo di copertina 16 €
Libro NARRATIVA 172 pagine
Copertina Morbida - Formato 15x23 - bianco e nero
2a edizione 11/2010
 
 
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=545084




... a Chicco

Adesso chiama Paolo ed Enrico e di loro che il papalino li abbraccia e li saluta con tutta l'adorazione che loro porta. Dai loro quanti baci tu vuoi, per me, e fatteli restituire pure per me; di a Paolo che sono contento che faccia il buono, che vada in chiesa e che vi stia da ometto e che quando ritornerò vorrò proprio vederlo servire la messa e suonare il campanello; raccomandagli di non fare tanti capricci e di ubbidire alla mamma, ai nonni, agli zii. Ad Enrico digli bravo perché non ha pianto alla vaccinazione e raccomanda di non fare troppi salti sulle sedie e chiedi poi se mi canterà qualche cosa al mio ritorno. Poi, tutti abbracciati, pensa che il quarto incomodo è lì presente.


domenica 24 maggio 2015

Onora il padre e la madre





Candida Santini

Carissimo, Gentilissimo e Illustrissimo Dottor Alberto, ieri ho ricevuto il Suo meraviglioso libro:
“Ti giungano - lettere d’amore e di guerra” ed è stata una grande gioia per me. Essere capaci di scrivere un libro, come ha fatto Lei, è una soddisfazione grande, come tutto il mondo. Un impegno … a leggere e … magari a soffrire … per il buio vissuto da Suo padre e Sua madre, è stata una prova di grande amore verso i suoi genitori. Ho iniziato a leggerlo e già … ho pianto. E’ una raccolta di lettere del cuore … narra la storia di un padre che soffre con dignità e che ama tanto! … narra la storia di una madre di “dolcezza infinita” che comunica tranquillità e pazienza.
Leggo: “Si potranno dire molte cose in avvenire; si giustificherà, si condannerà; si diranno molti se e molti ma, e si cercheranno responsabilità. A tutto ciò sono e resterò indifferente”
Oh! quale saggezza! Anch’io sono di questo parere perché la vicenda umana della mia famiglia con l’evento e la morte terribile di mio padre, richiamato a 49 anni, nella M.V.S.N.[1] (che lui ha rifiutato) è stata messa a tacere.
Avevo 18 anni, quando nel giugno 1940, sono andata ad Alessandria a prendere il cadavere di mio padre, ammazzato e buttato nel Tanaro … perché voleva servire la Patria negli alpini (già lo era stato per 9 anni). La mia povera mamma è morta a 59 anni, in balia della solitudine. Io … ho preso schiaffi dal Console della Milizia, con il rischio di farci bruciare la casa, perdere il senso della vita, la dignità della persona, dei diritti umani e civili.
Il suo grande papà ha detto: “Non comprenderebbero nulla”. Ed abbiamo taciuto. Eravamo quattro sorelle, con la mamma tanto provata (non una lira di pensione, mai … perché il cielo era diventato vuoto e freddo). Un crimine che abbiamo taciuto, un episodio di morte che … solo noi … in silenzio … abbiamo pianto.
Perdoni, carissimo Dottore, se ho aperto il cuore con Lei: ho conosciuto, attraverso questa opera inimitabile, la Loro nobiltà, la Loro amabilità, la Loro operosità e la Loro insuperabile umanità.
Lei mi ha trasmesso gli insegnamenti del Vangelo: “Onora il padre e la madre” e tutto ciò che contiene.
Diceva S.Agostino: “Più dolce di tutte le dolcezze della vita è l’amicizia” e Lei … me l’ha offerta in abbondanza.
Vorrei essere capace di scrivere anch’io un libro (la mia vita è un romanzo e … piena di vuoti che … trasformo in tanti sorrisi e preghiere). Sono vecchia, ma cerco di reggere bene … come un muro antico (come la mia vita) con tanta fede, noncurante delle rughe; le accetto come un velo … pieno di poesia radiosa che mai tramonta.
Un fraterno abbraccio.



[1] Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale

sabato 23 maggio 2015

Legame di cose tenere profonde semplici


Nadia Bertolani
Poter restituire il passato al presente, poter appropriarsi delle parole dette o scritte molto tempo prima, poter ricostruire le tracce di un percorso, le sue tappe, i suoi esiti. Questo lo può fare solo la letteratura.

venerdì 22 maggio 2015

E' bello che ...


Maria Socino

E' bello che alcuni degli scambi epistolari di quel tempo, tra chi era al fronte e chi, a casa, conduceva una vita di attesa, si siano salvati dal "cestinamento" cui spesso i vecchi scritti vanno incontro.
E’ bello che le lettere inviate siano andate incontro al loro destino, raggiungendo i destinatari (ma chissà quante si saranno perdute!)
E’ bello che le due persone coinvolte nel carteggio abbiano avuto cura di conservare.
E’ bello che un figlio abbia preso tra le sue mani queste preziose carte, abbia dato loro un ordine e le abbia "confezionate" in un libriccino (ma quanto ricco di notizie e di significato!) che possiamo leggere come testimonianza di un rapporto che ha attraversato, rafforzandosi, il periodo della guerra con tutte le sue difficoltà, angosce, incertezze e timori.

Ci si sente un po’ "guardoni" a leggere parole e affettuosità destinate ad una precisa persona ... la volontà di chi scriveva non era sicuramente quella di essere letti da "altri"! Ma come potrebbero, Angela e Gualtiero, non approvare che una testimonianza di tanto valore raggiunga un pubblico sensibile e interessato?

giovedì 21 maggio 2015

Pagine irresistibili


Carla Palazzo

Al libro del tenente medico "Prigioniero 589" in cui Gualtiero Marello scrive pagine di storia vera, che comunicano a chi legge l'ansia e l'angoscia del terribile tempo della seconda guerra mondiale, da cui sembrava non si potesse uscire, segue un altro libro dello stesso autore intitolato "Ti giungano, lettere d'amore e di guerra".
Si tratta di una eccezionale raccolta di lettere in cui il tenente medico, scrivendo alla moglie descrive, senza una parola di retorica, ma con uso perfetto della lingua, le sue esperienze in Grecia negli ospedali militari. Le lettere che il dottore riceve dalla sua amata Angela tardano a giungergli per la lentezza del servizio postale, ma conoscere le trasformazioni dei suoi bimbi, che lo aspettano con ansia, lo rincuorano e cancellano ogni paura.
Nelle pagine di questo testo compaiono lo spavento, l'amarezza, lo sconforto, ma soprattutto l'amore per la moglie, per i suoi figli, la speranza e la fede. Sono pagini semplici, ma irresistibili, perchè in esse primeggiano i valori più belli e preziosi della famiglia. Un pensiero per congratularmi con chi ha dato alla stampa questo libro che sembra destinato a resistere all'usura del tempo.

Sapevo e ho saputo


Luigi Mura

Carissimo dottor Alberto,
Come abbonato della Gazzetta d’Asti seppi già della pubblicazione del diario e delle lettere del dottor Marello. Subito desideravo avere i libri, però mai vi riuscii e non ricordo per quale motivo; non era tanto facile essendo che io ad Asti ormai ci vado poco e sempre vado frettolosamente occupandomi delle cose di prima necessità. E’ stato solo pochi giorni fa che monsignor Guglielmo Visconti mi ha regalato i volumi. Li ho “divorati” immediatamente d’un solo fiato; di solito al mattino mi occupo delle cose più difficili e lascio al poi le cose più facili, ma questa volta invece ho tralasciato tutto e mi son dato a leggere il graditissimo regalo.
Siccome già sapevo che gli appunti erano per la sua cara consorte pensavo che si trattasse di comunicazioni affettuose cui naturalmente si scambiano i sinceri coniugi, e come solo in “Ti giungano” si è fatto; ma in principio non fu così. Si trattava di un documento storico; ed io amo tanto la storia e quindi man mano che andavo leggendo tanto più cresceva l’appetito.
Sapevo già della crudeltà dei tedeschi per aver avuto un fratello (1920) loro prigioniero, essendo anche lui fatto prigioniero in Jugoslavia e quindi deportato in Germania dopo quell'otto settembre memorabile. Però per merito del dottor Marello ne ho saputo di più; ed ho appunto saputo dello stato dei poveri infermi che disgraziatamente hanno subito in quell'infelice periodo; perciò un grazie speciale all'indimenticabile caro dottor Marello.

Sta bene, scrivi, ricordaci ed abbiti riguardo

5

Lui, tenente medico, è richiamato in guerra per prestare servizio in vari ospedali militari; lei è sfollata in campagna con due figli piccoli. Le lettere li uniscono nella distanza; notizie dal fronte si alternano agli aggiornamenti su un quotidiano di ristrettezze e tensione. Sullo sfondo gli orrori della guerra e l'amore reciproco, in un ritratto a due sempre proiettato verso il ricongiungimento.                    


Fondazione archivio diaristico nazionale


 


lunedì 18 maggio 2015

Umanità tedesca


4

Una guerra a parte. 
I militari italiani nei Balcani 1940-1945
Autore Aga-Rossi Elena; Giusti M. Teresa
Prezzo di copertina € 33,00
2011, 660 p., ill., rilegato        
Editore Il Mulino  (collana Biblioteca storica)

Gualtiero Marello rimase a svolgere le funzioni di medico ad Atene nel campo di internamento dove transitavano i prigionieri italiani diretti in Germania, raccogliendo le loro testimonianze. 



Da Creta un’altra nave con altri 4000 italiani, a due ore di viaggio dal porto di partenza, è stata silurata; si sono salvati 400 nostri connazionali, in gran parte feriti. Mi racconta più tardi uno dei quattrocento, che i tedeschi hanno lanciato nelle stive, ripiene e ribollenti del terrore della morte, bombe a mano; hanno mitragliato chiunque ha cercato di salire in coperta; hanno mitragliato qualsiasi italiano che, in acqua, ha cercato di appigliarsi a qualche mezzo di salvataggio; hanno rifiutato qualunque aiuto e negata ospitalità sulle loro scialuppe. E’ in tale circostanza che ha trovato la morte un capitano medico ed un altro subalterno pure medico. Il primo, salito sopra un barcone, è stato colpito al capo da una revolverata e lanciato in mare. La maggior parte dei salvati è stata tratta a riva da battelli greci. La partenza da Creta, via mare, rappresenta nel 90% dei casi un rischio mortale; in seguito a questo e ad altre perdite, soltanto gli aerei sono stati usati per lo sgombero dei prigionieri. 

domenica 17 maggio 2015

Silenzio

Mario Avagliano
Marco Palmieri
Gli internati militari italiani
Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945
2009
Passaggi Einaudi
pp. LXVI - 338
€ 20,00
ISBN 9788806202361
Introduzione di Giorgio Rochat
Giulio Einaudi editore


“Si potranno dire molte cose in avvenire; si giustificherà, si condannerà; si diranno molti se e molti ma, e si cercheranno responsabilità. A tutto ciò sono e resterò indifferente: per me soltanto resterà la miseria che ha accompagnato la mia vita per oltre 11 mesi, fino ad oggi, fino a quando terminerà …”
La vicenda degli internati militari italiani è sempre molto coinvolgente, fa entrare in un mondo quasi sconosciuto, un mondo dove Onore, Fedeltà e Coraggio non mancano. Gli IMI erano persone con grande dignità, che non si sentivano eroi perché ritenevano di aver semplicemente compiuto il loro dovere, ma non è sicuramente stato semplice. Non hanno mai avuto un riconoscimento, non hanno mai chiesto niente. Gli IMI sono i dimenticati, di loro si son dimenticati tutti. Sono gli abulici, i paurosi, i vili, i traditori, gli aggressori, i mussolini, i fascisti, i badoglio, i makkaroni.     

venerdì 15 maggio 2015

La vicenda dimenticata


Storia e futuro 
Gianluca Rossini

“Potremmo passare giorni e notti l’uno accanto all'altra, a chiedere e rispondere su un’infinità di cose che tu supponi neppure: di cose che ho visto ed ho sentito, di fatti che ho intuito dalla prudenza dei segni e dall'eloquio delle occhiate; di drammi che hanno emaciato fino all'inverosimile i volti di molti italiani, di tragedie che hanno fatto piangere lacrime di sangue a molti giovani con una colpa uguale alla mia, con un destino più crudo del mio. Non so neppure se vorrò dire tutto; perché credo che quando avrò riguadagnato il conforto e la pace della mia famiglia, si quieterà in me l’ansia dei giorni trascorsi e prevarrà un solo desiderio: quello di dimenticare, di dimenticare tutto perché tutto è brutto, doloroso, cupo, vergognoso”.
Così scrive l’ufficiale medico Gualtiero Marello alla moglie il 25 luglio 1944, internato nei pressi di Atene. In questa frase si riassume gran parte della vicenda, pressoché dimenticata, degli IMI, gli Internati militari italiani. Questa lettera, insieme ad altre lettere e diari, fa parte del lungo lavoro di ricerca e riordino che Mario Avagliano e Marco Palmieri hanno sintetizzato nel libro, edito da Einaudi, Gli Internati Militari Italiani: Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945.

Le vicende della seconda guerra mondiale sono state, negli anni, ampiamente studiate ed approfondite nei vari aspetti che l’hanno caratterizzata: il fascismo, il nazismo, la Shoah, la Resistenza. Tutti questi aspetti sono noti, almeno nei loro tratti principali, a tutti gli italiani, anche grazie all'ampia trattazione che la scuola e la filmografia hanno prodotto negli anni. Questo non vale per quanto riguarda il destino che colpì i 710000 circa militari italiani, sorpresi dall'improvvisa ed inaspettata notizia dell’armistizio dell’Italia l’8 settembre 1943 e poi deportati nei lager nazisti. Tale vicenda, non solo è stata per lungo tempo affatto trattata ed analizzata dagli storici e dalla politica ma, ancora oggi, è pressoché sconosciuta alla stragrande maggioranza della popolazione italiana e probabilmente non potrà mai essere conosciuta in modo esaustivo. Il giorno dell’armistizio viene comunemente definito lo “sbandamento”, ovvero il giorno in cui l’esercito si trasformò in “esercito di sbandati”, senza più uno stato maggiore a dettare le direttive, senza più il supremo comandante, il re, come punto di riferimento ... 

giovedì 14 maggio 2015

La lettera e frammenti di storia


Marco Palmieri
Mario Avagliano 

... Per salvare quante più vite possibili tra i propri compagni, i medici-internati si danno da fare per allestire sanatori, convalescenziari, sale operatorie ed infermerie delle quali troviamo ampie tracce nei diari e nelle lettere, oltre che nelle memorie successive. In Grecia, in uno dei campi dove i tedeschi raccolgono i militari italiani sopravvissuti agli eccidi nelle isole dopo gli episodi di resistenza e il drammatico trasporto via mare, il tenente medico Gualtiero Marello, prigioniero numero 589, riesce ad ottenere dai tedeschi nulla più che qualche branda, un po’ di coperte e una piccola quantità di medicinali indispensabili.
“L’infermeria – annota Marello nel suo diario – è adattata in un camerino ripostiglio, di fronte al cancello d’entrata del padiglione principale. Deve funzionare per oltre duemila uomini, tutti in pietosissime condizioni. Trovo un po’ di paglia stesa a terra e già una trentina d’ammalati adagiati, in preda per la massima parte ad enterocoliti sanguinolente. Alcuni infermieri hanno iniziato, con le poche medicine che sono riusciti a portare seco, la loro opera di assistenza, medicando con mezzi di fortuna le innumerevoli piodermiti, escoriazioni e le ferite; poi, per il dilagare delle forme tipicamente dissenteriche e per i numerosi casi di indubbia gravità”.
Con l’affollarsi del campo, la situazione si fa più drammatica: “Scabbia spettacolare, diffusa a tutto il corpo, con spettacolare devastazione e deformazione d’organi per complicazioni sopravvenute; piaghe enormi infette, articolazioni gonfie e deformi, ulcere laceranti monumentali, peni in cancrena, foruncoli ovunque, accessi malarici in atto, e pidocchi e pidocchi. Dio, quanti pidocchi, grossi, enormi, e quanta sporcizia, quanta miseria”.  
La ricerca storica su questi temi, negli ultimi anni ha fatto notevoli passi avanti. In particolare, per quanto riguarda gli oltre seicentomila militari internati nei lager o avviati al lavoro coatto per aver rifiutato di aderire all’esercito tedesco e a quello della Repubblica Sociale Italiana, agli studi approfonditi e dettagliati di due autori tedeschi, Gerard Schreiber e Gabriele Hammermann, hanno fatto eco quelli degli italiani Giorgio Rochat, Nicola Labanca, Claudio Sommaruga ed altri.
Ma, come lo stesso Sommaruga va sottolineando da tempo, la ricostruzione storica di tale vicenda presenta ancora ampie lacune e temi praticamente inesplorati, innanzitutto a causa della scarsa disponibilità delle fonti d’archivio, volontariamente distrutte dai nazisti, andate perdute tra Germania e Italia o disperse tra milioni di documenti relativi a tutti i militari impegnati nel secondo conflitto mondiale.
Con il passare degli anni, inoltre, si assottiglia anche il numero di ex-IMI ancora in vita e in buona salute, ai quali ricorrere per chiarire, spiegare e decifrare questioni e fatti di quel periodo.
Ai diari e alle lettere, dunque, uniti alla ricerca storica, va il merito di restituirci frammenti salienti di questa storia.
In "Rassegna" ANRP n. 10/11/12 Anno XXIX ottobre-dicembre 2006

Un solo desiderio: dimenticare tutto ...


3


Gualtiero Marello, catturato dai tedeschi all'indomani dell’armistizio, durante la prigionia rimase nei lager nei pressi di Atene, dove venivano concentrati i prigionieri italiani prima di essere deportati in Germania. Qui Marello continuò a svolgere la sua attività di medico, fino alla liberazione, nell’ottobre del ‘44 (ad Asti arriverà soltanto nell'estate del '45).
Il documento è una lettera alla moglie Angela (Nini) Delfino, scritta fronte retro su tredici fogli di carta velina formato A4, consegnata dall'autore a un collega di rientro in Italia.                     

mercoledì 13 maggio 2015

Kriegsgefengenenlazarett

Alessandro Ferioli - Qui si muore di fame -

Anno: 2006
Tipo supporto: Periodico cartaceo
Pagine: 336
Prezzo di copertina: € 20,00
Prezzo scontato online: € 18,00
Informazioni
Area Editoria e Servizi
Referente: Rodolfo Taiani
tel. +39 0461 264660
editoria@museostorico.it
Fondazione Museo storico del Trentino
tel. +39 0461 230482
fax +39 0461 1860127
info@museostorico.it
Posta PEC: info@pec.museostorico.it



Gualtiero Marello

Nel nostro piccolo reparto oltre 300 ammalati menavano la loro vita grama e con essi, complessivamente, tre medici e 12 fra infermieri e uomini di servizio. 
Mi riferisco al periodo di prigionia trascorso nel Kriegsgefengenenlazarett, reparto ospedaliero internazionale dei prigionieri di guerra di Atene, che riceveva ammalati dai due campi di concentramento della capitale e dai campi di lavoro disseminati in tutta la Grecia meridionale, nel Peloponneso e negli arcipelaghi ...
Non mi soffermerò sulle condizioni di vita, se non per ricordare che esse erano quanto di più miserabile si possa immaginare, e che in tali condizioni la mancanza di tutto ciò che è d’estrema necessità per la vita fisica e morale dell'uomo, sole, luce, aria, pulizia, libertà non poteva non avere la sua importanza, così come doveva averla il diuturno affanno per l'immediato domani, per la propria vita e della famiglia, che prostrava spirito e corpo nel gioco sfibrante delle emozioni. E' su questa massa che le condizioni di vita influivano, su questa massa informe di creature, amorfa, già provata da tutti i disagi dei viaggi per terra, e dai terrori dei viaggi per mare, chiusa nelle stive dei caicchi per giorni e per notti, sudicia, stracciata, scabbiosa, pidocchiosa, maltrattata, avvilita, affamata, assetata, coatta in tutti i sensi.

Giuseppe Cangiano

Gent.mo Dott. Alberto Marello,
innanzi tutto le chiedo scusa per il ritardo con cui Le do riscontro di aver ricevuto il libro unitamente alla fotocopia del breve scritto di Mio padre al Suo. Problemi personali mi hanno solo di recente consentito di leggerlo. Ho potuto così avvertire intimamente la grande umanità che pervade tutto il diario e la serenità che i nostri Padri hanno saputo mantenere nello svolgere la loro professione in condizioni così difficili per se stessi e per i poveri pazienti. Allora era veramente giusto considerare l’esercizio della professione medica al pari di una missione, oggi non più e lo scrivo con molta malinconia.

lunedì 11 maggio 2015

L'opera dei sanitari internati


Alessandro Ferioli

Una valutazione complessiva dell’opera dei sanitari internati nei campi di prigionia germanici deve tener conto, a mio giudizio, dei seguenti elementi. In primo luogo, in quanto fortemente limitati dalla scarsità o mancanza di farmaci e di strumentazioni, i medici si trovarono spesso nell'impossibilità di effettuare prescrizioni diagnostico-terapeutiche idonee alle malattie, col risultato d’incrementare di necessità la vicinanza col paziente come conforto e sostegno alla speranza, ampliando le funzioni relazionale e palliativa della professione al fine di lenire la sofferenza fisica e psichica dei malati, e adoperandosi in tutti i modi per migliorarne la qualità della vita. E’ illuminante al riguardo un’annotazione del Dott. Gualtiero Marello, in cui mi sembra valorizzata una visione “alta” di atto medico inteso come cura del malato piuttosto che della malattia:

“Quante volte ho parlato di pazienza! Quanto è difficile nel male, nel dolore, nella sofferenza, convincere alla pazienza! Pazienza se hai fame, se hai sete, freddo; pazienza se ti consuma la febbre, se ti strazia le viscere il dolore; pazienza se ti manca la rassegnazione e gridi e bestemmi e t’assale la disperazione; pazienza se piangi, se vivi, se muori; pazienza sempre. Devi dirlo con calma, ragionando, sorridendo, perché almeno la tua calma e il tuo sorriso, se non la parola, sappiano inspirare fiducia!”

A questa considerazione non è estraneo il fatto che negli ospedali-lager si è sbriciolato il “muro” che normalmente divide chi patisce e chi cura, superando così il consueto stato di minorità dell’ammalato rispetto alla consolidata superiorità di chi detiene le conoscenze atte a guarire: nessuna incomprensione o diffidenza reciproca poteva esistere tra persone accomunate dalla stessa sofferenza, dalla stessa fame e - non di rado - dalle stesse malattie. Proprio per un senso di intimo rispetto del malato, i medici più attenti si preoccuparono anche di operare un’equa distribuzione delle risorse disponibili, evitando trattamenti preferenziali in funzione del grado e smascherando i simulatori. Di fronte a una molteplicità di ferite e patologie diverse, il medico militare (spesso già impratichito da un’intensa esperienza come medico di battaglione) ha dovuto invertire la tendenza, già in atto allora e oggi ancora più marcata nella professione civile, ad agire nel ristretto ambito della specializzazione acquisita (organizzata per tipologia di pazienti, per organi e apparati o per malattie), recuperando invece una solida pratica di medicina generale improntata alla ricucitura dei dettagli delle conoscenze in una visione unitaria del malato e caratterizzata da una spiccata duttilità. Con poche eccezioni, la maggior parte dei medici e degli infermieri militari, pur in circostanze così difficili, dettero prova di grande fedeltà ai principi deontologici della professione, nonché a quelli civili e cristiani di solidarietà, pietà e umanità (per non dire dei medici che, quand'anche non impegnati come tali, si adoperarono ugualmente secondo le loro possibilità).

venerdì 8 maggio 2015

Osservazioni cliniche


Ernesto Damiani
Professore associato di fisiopatologia presso l'Università di Padova

A distanza di 60 anni dai fatti narrati, la relazione del tenente medico Gualtiero Marello sorprende per la sua intelligenza e per la capacità di stimolare l’interesse, su una forma di patologia, la malnutrizione primaria (cioè determinata da una carenza dietetica), che è ormai argomento trascurato in Italia, in ragione dell’aumentata ricchezza del Paese. Il tenente Marello riporta le sue osservazioni cliniche derivate da un ampio campione di prigionieri italiani, relativamente omogeneo per età. La dieta somministrata ai prigionieri era carente in assoluto per apporto calorico, ed era certamente complicata da una carenza selettiva di proteine e di vitamine. Sulla base di queste osservazioni, il tenente Marello deduce il concetto, oramai del tutto accettato, dell’individualità della risposta dell’organismo riguardante sia la progressione della malattia che la gravità della sintomatologia, a fronte della relativa eguaglianza della carenza dietetica. Marello identifica tre fattori fondamentali, che condizionano gli esiti della malnutrizione primaria: 1) un fattore endogeno, che oggi sappiamo essere la genetica individuale; 2) la presenza di fattori condizionanti, quali l’attività fisica; 3) il sovrapporsi di stati di malnutrizione secondaria, dovuti a fattori quali vomito, diarrea, e malattie intestinali, che, indipendentemente dall'apporto dietetico, influiscono sull'assorbimento dell’alimento. Per l’acutezza delle sue osservazioni, non ultime quelle sulla relazione patogenetica fra sintomatologia e carenze selettive di proteine, vitamine e sali minerali, la relazione del tenente Marello si qualifica come un importante contributo, che testimonia della elevata qualità della Scuola Medica italiana del tempo.

venerdì 1 maggio 2015

Qui si muore di fame



2

Include un’interessante relazione inedita del dottor Marello sulle sindromi da carenza alimentare: si tratta di un ulteriore contributo – redatto nel periodo immediatamente successivo al rimpatrio e oggi custodito nell’archivio famigliare privato del dott. Alberto Marello – che si aggiunge alla letteratura clinica sulle patologie da internamento, consentendo un più esatto inquadramento scientifico delle sofferenze patite dagli internati militari italiani.